
Pandemia e crisi climatica. Un binomio a cui guardare
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato l’11 marzo 2020 lo stato di pandemia.
Una pandemia (dal greco pan-demos, ovvero “tutto il popolo”) secondo la definizione della stessa OMS è una patologia infettiva generalmente provocata da un agente patogeno non ancora conosciuto capace di infettare gli esseri umani e in grado di diffondersi rapidamente per contagio, raggiungendo vaste aree geografiche in tutto il pianeta.
La storia dell’uomo è segnata da un numero incredibile di pandemie, dalla febbre tifoide durante la guerra del Peloponneso intorno al 400 a.C. alla peste nota come Morbo di Giustiniano del 541 , dalla peste nera del 1300 al tifo, dal colera all’influenza Spagnola, dall’Asiatica alla Suina, dalla SARS alla MERS, fino a quella che stiamo vivendo proprio ora, battezzata COVID-19 (se parliamo della patologia, l’agente patogeno si chiama invece SARS-CoV-2).
Epidemie e grandi esplorazioni
Non dimentichiamo che le grandi esplorazioni sono state foriere anche di grandi epidemie, gli esploratori europei hanno provocato pandemie violente quando sono entrati a contatto con popolazioni indigene, uccidendo milioni di persone in diversi continenti.
Mi piace ricordarlo perché la nostra memoria storica è sempre troppo corta e trovo che sia importante invece uno sguardo più ampio per vedere le cose dalla giusta prospettiva.
Si finisce altrimenti per cedere alla tentazione di individuare a caso colpevoli e anche per credere che quello che stiamo attraversando non sia mai accaduto prima.
In questo momento di grande emergenza gli sforzi più grandi sono giustamente concentrati sulla cura delle persone ammalate e solo quando l’emergenza sarà alle nostre spalle sarà possibile (mi auguro) fare considerazioni e riflessioni profonde.
Un tema sul quale vorrei sentire dialoghi degni di questo nome da parte di esperti veri e non millantatori è questo: mi piacerebbe capire perché il nostro Paese ha investito così tanto sugli armamenti militari e così poco sul settore sanitario, nonostante le guerre batteriologiche siano una realtà ben nota.
Emergenza climatica e pandemia
E poi vorrei che si tornasse a parlare in modo serio di emergenza climatica e di crisi ambientale alla luce proprio di questa pandemia.
Sappiamo infatti bene quanto la composizione dell’atmosfera sia cambiata e quanto il peggioramento della qualità dell’aria influisca sulla nostra salute (e su quella degli animali).
I dati trasmessi dall’Intergovernmental Panel on Climate Change sono in questo senso inequivocabili e l’OMS ben conosce l’impatto della contaminazione chimica degli ecosistemi fondamentali per la vita sulla salute degli animali umani e non.
I cambiamenti climatici agiscono da decenni ormai direttamente e indirettamente nel determinare un gran numero di malattie, favorendone di nuove e agendo come spinta moltiplicativa. Per quanto riguarda le malattie infettive spesso hanno un ruolo importante insetti vettori, che proprio grazie ai cambiamenti climatici si stanno diffondendo in tutto il mondo.
All’aumentare delle temperature il metabolismo degli insetti infatti accelera, si sviluppano più rapidamente, muoiono meno e si riproducono in modo esponenziale.
L’alternanza tra precipitazioni violente e siccità, sempre più frequente anche nelle zone che consideriamo temperate, interferiscono sui rapporti tra parassiti, nemici naturali e piante ed è normale che gli insetti (e altri animali) per trovare cibo e sfuggire ai nemici fanno la stessa cosa che facciamo noi: migrano.
La deforestazione massiva (in gran parte a causa della necessità di foraggi per gli allevamenti intensivi), l’aumento costante della popolazione umana con conseguente antropizzazione massiva e lo spazio sempre più esiguo a disposizione degli animali selvatici ne provoca l’avvicinamento all’uomo e una conseguenza è proprio la diffusione di malattie infettive.
La facilità e la frequenza con cui ci spostiamo da un luogo all’altro nel pianeta ci rende fantastici “corrieri” per parassiti, batteri e virus.
Un report del WWF
Un recente report trasmesso da WWF dice non a caso che “la distruzione degli habitat naturali provocata dall’uomo, rompe gli equilibri ecologici e crea condizioni favorevoli alla loro diffusione. Le foreste sono il nostro antivirus. La loro distruzione può quindi esporre l’uomo a nuove forme di contatto con microbi e con specie selvatiche che li ospitano. Nelle foreste incontaminate dell’Africa occidentale, ad esempio, vivono pipistrelli portatori del virus dell’Ebola. Il cambiamento di uso del territorio come le strade di accesso alla foresta, l’espansione di territori di caccia e la raccolta di carne di animali selvatici, hanno portato la popolazione umana a un contatto più stretto con nuovi virus, favorendo l’insorgenza di nuove epidemie”.
Un articolo di Nature Microbiology sul fenomeno dell’antibiotico resistenza (della quale accenno in questo articolo) ne sottolinea la natura globale e riflette sul fatto che il problema della diffusione degli antibiotici negli animali e nell’ambiente è tutt’altro che scollegato dall’attuale pandemia. Per questo il concetto di one health è così importante.
E per questo è altrettanto importante che medici veterinari e medici umani tornino a dialogare e a collaborare, così come specialisti ed esperti di settori diversi, medici allopati ed omeopati (che hanno saputo affrontare con grande competenza le epidemie degli scorsi secoli), biologi, scienziati della terra, esperti di clima, ambientalisti, esperti di agroecologia, economisti, politici, chiunque abbia conoscenze profonde e capacità di affrontare i sistemi complessi.
Astenersi esibizionisti, egocentrici, individualisti, ignoranti. Hanno già avuto il loro momento e hanno fallito.
Immagini tratte da:
blog.egu.eu
ilgiramondo.it
phys.org