In RIFLESSIONI DI UN VETERINARIO

Allevamenti verticali, non chiamatela felicità

Ieri sera stavo guardando la puntata di Indovina chi viene a cena? dedicata alle trasformazioni genetiche degli animali che utilizziamo come macchine da produzione. Se l’avete persa potete rivederla cliccando qui.

 

Animali sfruttati come macchine

In pochi decenni le mucche sfruttate per la produzione di latte sono diventate mammelle con un animale intorno, i salmoni atlantici ibridi crescono almeno cinque o sei volte più rapidamente. Il ricercatore intervistato da Sabrina Giannini per i salmoni spiega che “è abbastanza semplice, abbiamo aggiunto un gene regolato in modo un po’ diverso da un gene normale. È un gene dell’ormone della crescita di un salmone reale inserito nel genoma di un salmone atlantico”.

E le conseguenze sui consumatori, che mangiando salmone oltretutto stanno assumendo dosi tossiche di etossichina utilizzata per conferire il colore arancio tipico? Anche questo è abbastanza semplice, non è dato saperlo.

 

Pollai come condomini con oltre trecentomila abitanti

E mentre ascoltavo l’allevatore di polli olandese che ha inventato il pollaio verticale, idea geniale già esportata in altri continenti tra cui Asia, Africa e Russia,  cercavo di agganciare il significato delle parole “questo è il modello più verticale, ha sei piani, ci sono centomila polli ma il pollaio più grande che abbiamo costruito ne contiene trecentocinquantamila” e ancora “per costruire un buon pollaio bisogna guardare qual è il comportamento naturale. Noi sappiamo che i polli sono più felici in questi pollai multipiano…”.

Federico, storia di un pollo

A sentir parlare di polli felici, mentre guardavo quei pulcini dentro una sorta di acquario, non ho potuto fare a meno di agganciare l’immagine di Federico, un pollo conosciuto qualche hanno fa.

 

Ed è la sua storia che voglio raccontare.

Federico (non è il suo nome vero perché voglio proteggere la privacy della sua famiglia) era in viaggio su un camion che sfrecciava in una superstrada marchigiana, stipato in gabbie con decine di altri polli, centinaia probabilmente, diretto agli stabilimenti di un famoso pollificio che ho visitato con l’università tanti anni fa e temo non sia cambiato molto. Tralascio i particolari di quella visita, che ricordo molto bene nonostante siano trascorsi quasi vent’anni.

Il camion sbanda, le gomme perdono aderenza con la strada, si ribalta.

Alcune gabbie vengono sbalzate fuori, gli animali strisciano per metri sull’asfalto, molti muoiono.

Federico no, è un po’ malconcio ma vivo quando un ragazzo che sta passando di lì e vede tutto si ferma, lo fa salire in macchina e riparte. Chiama la fidanzata, le dice che sta tornando a casa con un pollo ferito, è lei che mi contatta per visitarlo prima possibile.

Federico è traumatizzato (chissà se l’allevatore olandese l’avrebbe definito comunque felice), ha qualche abrasione ma tutto sommato fisicamente sta bene. Che emozioni provi però non lo so, tutta la sua vita fino a quel momento l’ha trascorsa in un allevamento per broiler, polli da carne brevettati negli Stati Uniti una cinquantina d’anni fa, che l’industria ha creato per crescere più rapidamente possibile.

 

Crescita aumentata del 400%

Il tasso di crescita, ci ricorda Sabrina Giannini, in cinquant’anni è aumentato del 400%. A 42 giorni di vita il pulcino sembra già adulto, in natura a 70 giorni sarebbe ancora un giovane con il petto troppo piccolo per le richieste attuali del mercato. Quaranta miliardi di polli nel mondo, sette in Europa, mezzo miliardo solo in Italia.
Carne a buon mercato, una produzione sempre più spinta per avere prezzi sempre più bassi (quelli visibili al consumatore, almeno).

 

Federico è sfuggito al suo destino, almeno per un po’

Federico è uno di loro. Però ora ha una famiglia che lo ha accolto e se ne prende cura. Le abrasioni guariscono rapidamente e altrettanto rapidamente lui cresce.

Ha un grande giardino tutto da esplorare, che condivide con altri animali che diventano la sua famiglia allargata, è lui che dà ordini a tutti, un leader indiscusso.
Di notte può stare in un grande garage, ha il suo angolo con un cuscino e una coperta, può dormire tranquillo.
Di giorno si gode l’aria e il sole, il vento, a volte la pioggia perché non ne vuol sapere di rientrare, razzola in cerca di vermi tra l’erba bagnata di rugiada.

Federico continua a crescere, il petto è ormai enorme, proprio come industria vuole, e non importa se questo è il frutto di un’alterazione genetica del tessuto muscolare perché tanto il consumatore ne vedrà solo una parte. Basta guardare le reazioni disgustate degli intervistati da un’attivista del Compassion in world farming ai quali viene mostrata la parte inferiore del muscolo per comprendere.

La selezione genetica del broiler provoca l’accrescimento rapido e l’ipertrofia del tessuto muscolare, questi animali arrivano a pesare molto, ma la loro struttura scheletrica non è in grado di sostenere tutto quel peso, né quella rapidità di sviluppo.

All’industria e ai consumatori inconsapevoli questo non importa perché quegli animali non diventeranno mai adulti, ma Federico sì.

E le sue zampe tutto quel peso non sono riuscite a sostenerlo. Abbiamo fatto di tutto, io e la sua famiglia, ci siamo inventati tutori, plantari, fasciature morbide, ma abbiamo perso, Federico nell’ultima parte della sua vita si aiutava con il becco ma non ha rinunciato al suo giardino, al sole, all’aria, alla leadership. Né alla sua famiglia che ha avuto accanto fino all’ultimo.

Io ho avuto il privilegio di conoscerlo e l’onere di vedere cosa accade agli animali quando la selezione naturale, che li ha creati perfetti in migliaia di anni, viene stravolta in cinquant’anni in nome del progresso (se proprio vogliamo chiamarlo così).

E non chiamatela felicità

Non so cosa ne penserebbe l’allevatore olandese, ma mi auguro che smetterebbe di parlare di felicità per polli che crescono dentro sei piani di acquari, senza aria né luce naturale, senza erba né terra da razzolare, senza lombrichi da scovare e che vengono uccisi in catene di montaggio e smontaggio senza diventare mai adulti.

Forse potremmo smettere di pensarci progrediti, forse sarebbe meglio desiderarci evoluti…

 

Articolo di Cinzia Ciarmatori 

 

Immagini: National Geographic; Next Big Future

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