
Coronavirus e natura. Cosa succede in città?
Quando pensiamo agli spazi verdi la nostra mente ci propone all’istante immagini di campagne sterminate, colline morbide all’orizzonte, cieli blu.
Gli uccelli cinguettano, donne e uomini col cappello di paglia si asciugano il sudore dalla fronte con un fazzoletto bianco.
Questa è per lo meno l’immagine che compare nella mia mente! 🙂
Chissà perché poi se ci immaginiamo la campagna è sempre primavera… e oltretutto difficilmente pensiamo a quella del nostro tempo, con la terra lavorata poco e male, le monocolture, i pesticidi, i semi modificati dalle multinazionali. Ce ne parla molto bene Vandana Shiva, fisica indiana conosciuta in tutto il mondo per le battaglie a favore dell’agroecologia e della protezione ambientale.
Se non la conoscete vi consiglio di dare un’occhiata ai suoi libri, una miniera di informazioni molto interessanti a cui ogni cittadino e consumatore consapevole dovrebbe avere accesso. Parlo del suo ultimo libro a questo link.
E le città?
Città che osano la selvaticità
Il WWF ha da poco presentato un dossier intitolato proprio così, e lo trovo un titolo bellissimo!
Clicca qui per il dossier “Città che osano la selvaticità”
Leggendolo ho scoperto che i maggiori centri urbani in Italia sono più verdi di quanto siamo soliti immaginare: nelle quattordici città principali, nelle quali vivono oltre dieci milioni di persone, le aree verdi pubbliche e private superano infatti i 1200 km quadrati.
La cattiva notizia è che la crescita urbana sempre troppo disorganizzata mette a rischio le aree naturalistiche, creando frammentazione e squilibrio di habitat molto importanti.
E sappiamo bene come il rispetto degli habitat e un rapporto più equilibrato tra aree urbanizzate e natura sia fondamentale per il nostro benessere e quello degli animali, per la salute e la sicurezza, lo sappiamo oggi più che mai.
E ai tempi del coronavirus?
Oggi infatti stiamo assistendo alla riconquista da parte della natura di spazi che abbiamo temporaneamente abbandonato.
Ieri sera sono uscita con il cane con cui vivo e mi sono trovata davanti un orbettino (Anguis veronensis), una specie che non avevo mai incontrato.
Si tratta di un rettile che potrebbe sembrare un serpente, invece non è un ofide ma un sauro, praticamente una lucertola senza zampe, con una coda lunghissima e soprattutto del color del rame.

Orbettino, foto di Alexandre Roux
La foto non è mia, non avevo con me il telefono per fortuna così non l’ho disturbato troppo! Quello che ho incontrato sembrava proprio fatto di rame, le squame quasi invisibili.
Chi mi conosce sa che per i rettili ho una vera e propria fascinazione, una sorta di Sindrome di Sthendal per queste opere d’arte della natura e l’incontro incredibile di ieri sera ha per me il sapore di un evento di grande sacralità, per il quale sono enormemente grata.
Un po’ in tutta Italia gli animali selvatici ci stanno mostrando tutta l’inconsistenza delle nostre barriere di cemento e asfalto: i tursiopi (come i delfini) si sono lasciati ritrarre vicino al molo del porto di Cagliari e in altri porti delle coste italiane, da Trieste a Reggio Calabria.
Pesci, cigni e anatre nei canali lagunari di Venezia, lepri nelle aree verdi a nord di Milano, cigni nei Navigli e lupi che attraversano le strade di Pescara, caprioli ovunque anche sulle spiagge, volpi e cinghiali. Fiumi mai così puliti da vent’anni, come il fiume Esino che attraversa nelle Marche l’Oasi WWF Ripa Bianca.

Fiume Esino, foto scattata nell’Oasi Ripa Bianca di Jesi (AN)
Non lasciamoci scappare quest’occasione
Non perdiamo questa incredibile opportunità di renderci conto di quanto abbiamo bisogno per la nostra salute e per vivere bene di tornare in equilibrio con la natura e con gli animali, anche nelle città.
ONU e OMS
Il rapporto ONU World Urbanization Prospects 2018 ci rivela che oggi nelle città vive circa il 55% della popolazione mondiale e si ipotizza che nel 2050 la percentuale salga fino al 68% e tutte le agenzie che si occupano di salute, OMS in testa, ci dicono a chiare lettere che l’inquinamento e il cambiamento climatico siano fattori di rischio enormi.
A Wuhan, città di dodici milioni di persone, “l’epidemia di Covid-19 è stata ingigantita e accelerata dal contenuto di una megalopoli fittamente abitata e con fitte e articolate relazioni commerciali – e non solo – con il resto del mondo”, ci ricorda la virologa Ilaria Capua (che non si dice mai ma è una veterinaria).
Tante città nel mondo negli ultimi anni hanno scelto di investire nella salute dei loro cittadini, implementando le aree verdi per esempio, come Londra diventata nel 2019 National Park City con l’obiettivo di aumentare il verde fino al 10% dell’estensione territoriale nel 2050.
Nimega in Olanda, Oslo in Norvegia, Lisbona in Portogallo con l’European Green Capital Award della comunità europea, la Germania con il progetto “Città che osano la selvaticità”, Madrid, Amburgo e Milano con il progetto Clever Cities, sempre più amministratori si stanno accorgendo dell’importanza di rispettare gli ambienti naturali.
Per dirla con le parole del dossier di cui ho parlato all’inizio “le città in cui viviamo non possono essere deserti artificiali in cui il nostro benessere, la nostra salute e la nostra sicurezza sono condizionati da un modello di produzione e consumo che sono insostenibili dal punto di vista ambientale. È ormai evidente che è necessario costruire un futuro basato su sistemi naturali vitali, salubri e resilienti. Una sfida che non può che riguardare anche le nostre città che devono dimostrare di aver fatto tesoro di quello che è successo negli ultimi mesi e di come, il Coronavirus ha sconvolto le nostre vite proprio a partire dai nostri centri urbani”.
Ora spetta a noi, come cittadini consapevoli, non dimenticare l’importanza di quello che stiamo vivendo per guardare al futuro con occhi diversi e mettendo in atto scelte e comportamenti più rispettosi per tutti, donne, uomini e gli altri animali.
Articolo di Cinzia Ciarmatori
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