
Qualche tempo fa il titolo di un articolo su un giornale online ha attratto la mia attenzione, Come pensare ai diritti dei robot.
Non solo perché sono affascinata dalle nuove tecnologie e mi interessano molto robot e intelligenza artificiale, ma anche perché l’articolo fa più volte riferimento e analogie tra diritti dei robot e degli animali.
Alla luce dell’introduzione del principio della tutela degli animali, dell’ambiente e degli ecosistemi nella costituzione italiana, sono tornata ad approfondire il tema dell’articolo.
Diritti dei robot e degli animali. Perché paragonarli?
Il Parlamento europeo a febbraio 2017 ha votato una risoluzione con una serie di raccomandazioni per la Commissione europea. Il tema? Diritto civile della robotica.
La risoluzione suggeriva, tra altre cose, l’istituzione di uno status giuridico specifico per i robot e la necessità per chi li progetta di aderire ad un codice etico.
La discussione sul tema è ovviamente molto accesa, l’argomento complesso e di grande attualità dal momento che macchine sempre più sofisticate, in grado di prendere decisioni, sono ogni giorno più diffuse.
“Più i robot sono autonomi, meno possono essere considerati meri strumenti nelle mani di altri agenti”, si legge nel documento europeo.
Oggi, grazie all’intelligenza artificiale, esistono sistemi in grado di svolgere attività tipicamente umane. Non solo, questi sistemi sono in grado di mettere in atto processi cognitivi come la capacità di apprendere dall’esperienza e di prendere decisioni in autonomia. Processi ritenuti fino a non troppo tempo fa esclusivi della nostra specie.
Per questo ci si sta occupando di questioni prettamente etiche anche in questo ambito. È opportuno consentire lo sviluppo di capacità emotive nei sistemi di intelligenza artificiale? Come considerare i robot in relazione alle possibili sofferenze, se un giorno si dimostrasse che possono soffrire?
D’altronde ci sono sempre più prove a favore del fatto che la coscienza non sia riducibile al cervello, né alle molecole e agli altri elementi materiali necessari al suo funzionamento.
Molti studiosi sono convinti che si tratti piuttosto di una particolare interazione e combinazione di fenomeni ed enti fisici, motivo per cui la “capacità di pensare e prendere decisioni” non può più essere ritenuta ad esclusivo appannaggio umano.
Del resto questi stessi aspetti sono stati affrontati negli ultimi decenni anche in relazione agli animali non umani, considerati non a caso alla stregua di macchine per molti secoli.

Diritti degli animali
Possedere abilità cognitive simili alle nostre è considerato rilevante nella definizione degli standard morali che dobbiamo applicare nei confronti di altre specie animali.
Verso le quali facciamo solo una sorta di “concessione” di determinati diritti.
Quello che non viene mai messo in discussione è la nostra supposta superiorità morale. In nome della quale ci siamo autoproclamati custodi degli individui di altre specie (anche quando è probabile che senza il nostro intervento se la caverebbero decisamente meglio).
In realtà molte delle nostre decisioni e atteggiamenti riflettono bias cognitivi e pregiudizi. Basta pensare ai pesci: nonostante numerose ricerche dimostrino che molte specie siano in grado di provare paura, dolore, stress ma anche gioia e curiosità facciamo fatica a pensare che l’esperienza del pesce sia più vicina alla nostra di quanto potremmo anche solo supporre.
Entrare in empatia con un mammifero ci appare oggi del tutto normale (anche se facciamo differenze tra l’uno e l’altro in base a fattori sociali e culturali, con un’ipocrisia di fondo. Ci piace pensare di occuparci della sofferenza animale, ma tendiamo a farlo solo nei confronti di quelli a cui siamo legati emotivamente e culturalmente).
Per pesci, rettili, anfibi, insetti ma anche molte specie di uccelli che non ospitiamo in ambito domestico c’è ancora moltissima strada da fare.
Tendiamo a tracciare il confine dei nostri doveri morali sulla capacità di provare dolore. Il problema è che le nostre “antenne per il dolore altrui” sono completamente inaffidabili.
È molto complicato adottare il criterio della “parità morale” di altre entità in tema di diritti, dal momento che non sono tracciati chiaramente i confini di quella parità e le nostre decisioni sono spesso conseguenti ad errate percezioni e pregiudizi radicati.
Il medioevo e i processi agli animali
Nel Medioevo in Europa, tra il XII e il XVIII secolo, erano in voga i processi agli animali.
Maiali, cani, mucche, asini e persino insetti sono stati condotti al cospetto di giudici e giurie. Per rispondere di danni e incidenti, giudicati con la legge degli uomini e condannati all’esilio o alla morte.
Nei tribunali religiosi, a differenza di quelli laici, avevano anche diritto ad un avvocato.
Un gallo, colpevole di un “crimine odioso contro natura” per aver deposto un uovo, nel 1474 venne accusato di essere stato creato da Satana (ricordiamolo quando cediamo alla tentazione di pensarci moderni ed evoluti!).
Diritti dei robot e degli animali. Ecco perché li paragoniamo.
Abbiamo sempre sfruttato le abilità e le capacità degli animali non umani e continuiamo a farlo.
Oggi sfruttiamo allo stesso modo anche le nuove tecnologie e ci serviamo dell’aiuto dei robot in numerosi ambiti della vita. Come supplemento o automatizzazione in ambito lavorativo. Ma li impieghiamo anche come “robot da compagnia”.
Per loro potrebbe accadere dunque quello che è successo per gli animali. Potremmo trovare sensato riservare un trattamento preferenziale a quelli che per aspetto sono più simili a noi, anche se del tutto identici dal punto di vista dei componenti, delle caratteristiche e del funzionamento a quelli che ci sembrano solo “scatole di metallo”.
Ecco perché, nonostante comprenda l’entusiasmo per il tanto enfatizzato ingresso nella costituzione della tutela degli animali, dell’ambiente e degli ecosistemi, non riesco a condividerlo.
Preferisco attenderne le conseguenze sul piano pratico, vista la nostra reiterata tendenza nel concedere i diritti dall’alto di qualche scranno.
Articolo di Cinzia Ciarmatori, DMV