
Come noi guardiamo al mondo, il ruolo che pensiamo di ricoprire, condiziona in modo determinante l’esistenza delle altre creature viventi.
Imprime una direzione all’ambiente e agli ecosistemi che inevitabilmente coinvolge anche noi. E non sempre in modi prevedibili.
Non possiamo che guardare attraverso i nostri occhi, eppure oggi sappiamo che il nostro non può più essere l’unico sguardo che conta.
Antropocentrismo. Cosa si intende?
L’antropocentrismo è la concezione in base alla quale la nostra specie sarebbe quella per cui l’universo intero è stato creato. Con l’unico scopo di rispondere ai nostri bisogni. Ci consideriamo al centro di ogni processo, di ogni cosa esistente.
Dopo aver posto per millenni di storia umana la/le divinità nella posizione più preminente, nel periodo noto come Umanesimo l’essere umano si sostituisce a Dio. E ne assume in qualche modo il potere.
Da quel momento, complici anche scienza e tecnologia, la trasformazione di ciò che ci circonda è divenuta inarrestabile. In particolare nell’ultimo secolo, con conseguenze che forse oggi cominciamo a comprendere.
In molti Paesi, quelli anglosassoni e nordici in testa, la filosofia ambientale si sta occupando di aprire un serio dibattito su situazioni così complesse. Mettendo a confronto voci spesso contrastanti e cercando di fare chiarezza sulle conseguenze del nostro impatto sulla natura e sugli altri animali.
Il posto e il ruolo degli animali umani nella natura. Una questione aperta da millenni.
In modo speculativo prima e poi, in seguito alle teorie darwiniane sull’evoluzione in modalità più scientifica, il dibattito sul nostro ruolo nell’universo è lungo quanto la nostra intera storia.
Platone parlava già del problema del degrado ambientale. Ma solo dopo la prima metà dell’Ottocento cominciano ad essere pubblicate grandi opere sull’argomento, come Man and Nature di George Perkins Marsh.
Eppure solo dal 1960 in poi, con la pubblicazione di Silent Spring della biologa Rachel Carson un argomento così importante per l’impatto sulle vite di tutti comincia ad essere preso in considerazione in modo più sistematico.
Ci si rende conto che le risorse del Pianeta non sono infinite e che i danni dell’impatto umano sono già molto avanzati.
Cominciano le accuse alla Chiesa cattolica, da sempre convinta promulgatrice del ruolo di dominazione dell’uomo sugli altri animali, ai sistemi economici e politici.
Ma nonostante alcune posizioni si siano ammorbidite anche per arrestare la diffusione di filosofie orientali e movimenti ambientalisti e nonostante l’evidente aumento della sensibilità su alcuni temi, la strada da percorrere da un punto di vista culturale è ancora molto lunga.
Dall’antropocentrismo al biocentrismo
Il tema è molto complesso, certo. Ma non per questo si può evitare di discuterne dal momento che ci condiziona tutti, animali umani e non, in modo così profondo.
Dal comportamento umano privo di vincoli dell’antropocentrismo, passando per il desiderio di auto-realizzazione degli individui di ogni specie dell’ecocentrismo, oggi siamo passati non senza difficoltà a discutere in modo più concreto di biocentrismo.
Il biocentrismo, attraverso le correnti di liberazione animale, riconoscimento dei diritti e della sacralità della vita, l’etica del valore e della terra, si pone a tutela di tutte le forme di vita e delle comunità, intese sia come specie che come ecosistemi.
A noi, come specie umana, viene chiesto di smettere di autocelebrarci come unici giudici e decisori della sorte del pianeta e dei suoi abitanti. Gli animali hanno bisogno di diritti che non siano più mere concessioni.
Alcune riflessioni
Il tema sembra più adatto ad ambienti accademici, non alla portata di singoli individui senza adeguata formazione in filosofia, etica, ma anche economia, politica e numerose altre discipline.
Eppure non c’è argomento che dovrebbe coinvolgerci di più come singoli e come collettività: il nostro modo di pensare al mondo e agli altri individui determina le nostre azioni e crea la realtà per come la conosciamo.
Dunque quello che è profondamente alla nostra portata è cominciare a non considerare più scontato quel modo di pensare, ma piuttosto frutto di una cultura che è in ogni caso un’espressione non solo ad appannaggio della nostra specie e in ogni caso può e deve cambiare.
Noi che viviamo con individui di altre specie e abbiamo il privilegio di poter condividere con loro emozioni ed esperienze abbiamo una possibilità che altri non hanno ancora. Possiamo cominciare ad estendere lo sguardo pieno d’amore che riserviamo ai cani, gatti, conigli, pappagalli (solo per nominarne alcuni) a tutti gli altri animali, nessuno escluso.
Noi che abbiamo scelto, a più gradi e livelli, di condividere la nostra esistenza con la loro possiamo cominciare a testimoniare che la separazione tra noi e loro è un confine arrogante come quelli che abbiamo tracciato sulle mappe, che di fatto non esistono eppure ci separano, ci salvano o ci annientano.
Cominciamo a parlarne davvero.
Foto in evidenza: Jo-Anne McArthur